DNP (CD)

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Disappointed teenage boy

Tempo di playoffs in Italia e tempo di scelte e decisioni difficili. Finito il tempo dei ricamini, della ricerca dei bei giochi, dell’occhio alle statistiche… Adesso conta sola la W, brutta e sporca e cattiva, non importa, bisogna strapparla a tutti i costi perchè o si vince o si va a casa e se ne riparla in autunno.

Capita di tutto nei playoffs. Capita che il QB che ti ha portato fino a li sbagli un handoff nel quarto periodo e venga panchinato e il giovane che lo sostituisce ti guida alla vittoria in rimonta. Capita che il WR, che in regular season non ne ha vista una, faccia una ricezione importante che da la sveglia alla squadra. Capita che una squadra possa scegliere l’avversario in base al risultato dell’ultima partita di regular season e allora mette in campo tutte le riserve perchè arrivare quarti è meglio che terzi. Capita che la squadra troppo rilassata per non aver subito punti in regular season si faccia sorprendere da una che è arrivata alle wild card con .500 di record. Ne capitano di cose, perchè i playoffs sono un mondo a parte, quello che hai fatto prima non conta. Chi eri prima non conta. I playoffs sono la vera incarnazione dell’opportunità, il giorno di gloria che tutti sogniamo. Tutti. Anche quelli che il campo lo hanno visto poco, quelli che smaniano di giocare dai primi di Febbraio e ogni martedi sera devono leggere i nomi dei compagni sulle statistiche.

DNP (CD) nella implacabile terminologia delle statistiche del basket sta per Did Not Play (Coach Decision) ed è l’incubo di ogni giocatore (insieme al Trilione, ma questa è un’altra storia…) perchè, purtroppo per loro, nel basket sono solo in 12 e tengono le statistiche di tutti, minuti giocati compresi.

Nel football siamo molti di più e per fortuna nelle stats non c’è il DNP (CD) altrimenti oltre alla frustrazione di non aver toccato il campo si aggiungerebbe anche la beffa che la cosa venga rimarcata per il “pubblico ludibrio”.

Oltretutto ce ne sarebbero un bel po’ di DNP (CD), vero? Alzi la mano chi non ne ha mai avuto uno! (OK Jack Bonanno, abbassala, tu sei fuori categoria…) Tutti siamo stati rookie e praticamente tutti siamo stati riserva di qualcuno. Qualcuno è stato (ed è ancora) riserva della riserva della riserva della riserva… con la stessa probabilità di entrare in campo che un satellite ti cada in testa.

Eppure si allenano. Tanto. Spesso più degli altri. Portano l’acqua, sventolano asciugamani, urlano “DEFENSE-GO”, tengono le statistiche, fanno il practice squad e i tappabuchi, sanno gli schemi perfettamente perchè li han visti dozzine di volte dalla sideline. E sperano. Sperano che arrivi il loro momento, senza mai arrendersi. Come ha fatto “Rudy” a Notre Dame nel 1975.

Daniel E. “Rudy” Ruettiger, povero ragazzo dell’Illinois che aveva come unico sogno giocare a football per i Fighting Irish pur non avendo nè il fisico nè il talento per farlo. Dopo incredibili sacrifici, dopo tanti DNP (CD), con la sua dedizione si fece talmente amare dai giocatori che all’ultima partita della stagione cambiarono le chiamate del coach per permettere a Rudy di giocare almeno un’azione, l’ultima.

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Già, perchè il coach (Dan Devine) non ci pensava nemmeno a far giocare Rudy. Coach Devine non sapeva nemmeno chi era Rudy. Ma Rudy lo conoscevano tutti ormai e tutto lo stadio si mise a cantare il suo nome quando la partita stava per finire. Se fosse stato per il coach, Rudy non sarebbe mai entrato, non avrebbe fatto quel sack, non sarebbe stato portato fuori sulle spalle di tutti, e una delle pagine motivazionali più belle della storia del football non sarebbe mai stata scritta.

Quanti Rudy ci sono in giro per l’Italia? E quanti coach Devine?

Un college di Division I ha un centinaio di giocatori vestiti in sideline, più una trentina non vestiti. Ci puo’ anche stare che ci si dimentichi di uno. In Italia, escludendo IFL, a fatica si passano i 40 e se ti dimentichi di un tuo giocatore in sideline, come coach hai ancora molto da imparare. Se non sai mettere il giocatore giusto al posto giusto al momento giusto, come coach hai ancora molto da imparare. Se non riesci a gestire queste situazioni “emozionali”, come coach hai ancora molto da imparare.

Parlate coi vostri giocatori, capiteli. Solo cosi potrete veramente sapere quale è il loro potenziale e cosa vi possono dare. Il bello del football è che si trova un ruolo per tutti. Combine e statistiche sono cose da professionisti, lasciatele di la dell’oceano. Qua avete a che fare con esseri umani che fanno sacrifici anche economici (perchè la maggior parte delle squadre fa pagare) per allenarsi. E se lo continuano a fare nonostante le mazzate che gli tirate, vuol dire che come minimo hanno più forza di volontà di molti di quelli che fate giocare, ma che saltano 3 allenamenti su 4. Se li avete a roster, vuol dire che qualche cosa in loro qualcuno lo ha visto (e – vi prego – non ditemi che sono li solo perchè sono una quota annuale in più…) ed è parte del vostro lavoro tirarla fuori.

E voi, piccoli Rudy, non arrendetevi mai. Continuate imperterriti a presentarvi agli allenamenti, a fare tutti gli scatti e tutti i drills al 110%. Continuate a portare l’acqua, a urlare “DEFENSE-GO!”, a fare practice squad, perchè avrete sempre e comunque ragione, vi ameranno tutti, ed avrete già vinto.

Al 5 di luglio solo 3 squadre in Italia potranno dire di aver vinto qualcosa quest’anno. Gli altri 69 coaching staff potranno dirsi comunque vincitori se quei 25-30 ragazzi che hanno incontrato a ottobre hanno collezionato pochi DNP (CD) e oggi sanno un pochino in più di football.

E magari a ottobre ritornano.

Giorgio Sivocci

1 commento

  1. Football prima di tutto è conoscere l’Uomo.
    Conoscere l’Uomo è una delle cose più belle che si possano fare nella vita.
    Conoscere l’Uomo non si fa, o meglio, non si fa affatto solo studiando l’oggetto di questo studio, bensì facendo altre esperienze in altri campi, e sapendo guardare dentro se stessi, gli altri, vivendo le arti umanistiche con tutto se stesso, facendo esperienze che ti fanno guardare dentro.
    Coach buoni o cattivi, viziosi, ottusi, aggressivi, illuminati, duri che siano … credete ai “Coach” della vita che vi fanno porre delle domande, che vi chiedono di cambiare, che vi fanno sorgere dei dubbi.
    La vita è riflessione. Il football è vita.