La Patente

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di Pasquale “Pas” De Filippo

Un insegnante, poco tempo fa, mi disse:

«non c’è nulla che insegniamo in questa scuola che i ragazzi non possano imparare fuori di qui, nella vita»

Chi può affermare il contrario?

Il conseguimento del famoso “pezzo-di-carta” non garantisce il successo o la competenza, qualche esempio?

Philippe Daverio, uno dei più stimati storici dell’arte, docente e scrittore, è colui che meglio sa illustrare e descrivere dipinti e sculture anche ai meno avvezzi in materia. A chi lo chiama dottore risponde: «Io non sono dottore perché non mi sono laureato, in quegli anni si andava all’università per studiare e non per laurearsi»; non si laureò mai perché nel 1969, dopo aver dato tutti gli esami, non riteneva importante conseguire “la patente” per esser in grado di eccellere nella materia.

Come lui, Richard Brandson, magnate della Virgin Company, abbandonò la scuola a sedici anni. Che dire poi del miliardario Henry Ford, fondatore della grande casa automobilistica, che non frequentò mai il college.

Le qualità ed i talenti hanno una tale forza che sono incomprimibili: se hai spiccate doti manageriali ma hai la passione della panificazione, non stai buttando alle ortiche le tue capacità quando sceglierai di fare il panettiere piuttosto che andare alla Bocconi … presto o tardi le tue caratteristiche verranno a galla e magari diventerai il più virtuoso dei panificatori aprendo nuove frontiere nel settore.

Per quanto uno possa studiare, è l’azione sul campo che forgia; è il quotidiano lavoro sporcandosi le mani che genera la conoscenza concreta.

Lo sport non contravviene a questa regola.

Conosco persone che operano come magazzinieri in aziende metalmeccaniche, ritenuti lavativi e pigri tra i colleghi, esser poi brillanti e motivanti coach con spiccate doti strategiche ed educative.

Il football è stato da sempre insegnato per trasmissione orale e ripetizione di quanto osservato; per molti anni fare il coach voleva dire presentarsi al campo un giorno senza tuta ed essere a fianco dell’allenatore anziché di fronte.

Oggi è un po’ diverso: il football, prima di altre discipline, ha recepito l’esortazione del CONI di specializzare e qualificare il ruolo dell’allenatore secondo un preciso percorso formativo (Snaq) che porta da uno status di entry level ad un quarto livello.

Ma alla luce di quanto illustrato pocanzi, viene da chiedersi se realmente serva impegnarsi per conseguire la qualifica da Coach dopo anni di esperienza assunta sul campo e magari con trofei conseguiti in passato.

Il dibattito è aperto ed una riflessione può essere utile.

L’aver conquistato l’agognato documento è sinonimo di perfezione e competenza?

Una volta ricevuta la “Patente” potrò dire di essere un coach migliore?

La risposta ad entrambe le domande è certamente: “NO”

Le capacità si dimostrano sul campo e sui libri trovi i concetti pratici senza la componente umana che nello sport è di maggior rilevanza.

Tuttavia, il dirigente che deve far seguire un team o la famiglia che deve affidare il proprio figlio potrebbe non conoscere l’allenatore e non avrebbe il tempo di vagliare tali qualità; la certificazione è lo strumento che garantisce che il coach abbia quei minimi requisiti per servire una squadra di persone.

Poi però vi è anche un connotato molto interiore…

Senza star ad indagare sul livello della propria autostima, possiamo certamente dire che la qualifica di allenatore, volente o nolente, ti dà sicurezza; cioè ti fa sentire Coach, ti fornisce un’ulteriore conferma che sei in un contesto comune ad altre persone e ti rende sicuro dei tuoi passi, certo che ciò che stai attuando su degli atleti è, per lo meno nelle basi, in linea con il lavoro condotto anche in altre squadre; in una visione più ampia, ti rende organo di un contesto sportivo collettivo che vede le tue competenze applicabili in qualsiasi teatro nazionale ed internazionale.

Capita sovente notare lo stupore di alcuni neo allenatori nel vedere applicata anche da altri coach una particolare pratica pensando di esserne l’unico utilizzatore.

Avere la “Patente” insomma ti fa sentire parte di un team che sperimenta e si confronta. Ci sono allenatori che condividono, su varie piattaforme, informazioni utili ed in alcuni casi creano esercizi specifici per determinati ruoli (Marco Polizzi docet).

L’ottenimento del qualifica di allenatore di football americano dunque non è necessaria ai fini della partita bensì conferma le tue conoscenze e permette di ampliare le tue esperienze con altri. Se però l’ansia da esame è insormontabile, si può sempre seguire l’esempio di noto personaggio che sosteneva:

«Non ho passato il mio esame in diverse occasioni. I miei amici, invece, sì. Ora loro sono ingegneri e lavorano alla Microsoft. Io invece ne sono il proprietario»..

PAS

Foto Giò Rossi (Panthers Parma)

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