L’Italia del football “americano”

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Negli ultimi anni ho vissuto direttamente e in parte ho osservato dall’esterno l’evoluzione del football nel nostro Paese. Sia offline che online.
Le squadre iniziano a perseguire un “program”, le società si organizzano e possiedono un piano e forse una visione. In rete invece, anche se in modo incompleto, segno che le persone che si occupano di questi aspetti per il football non sono tutte al passo con la tecnologia, iniziano ad esserci siti internet registrati e social network di qualità medio bassa.
Ricordo ancora quando nel 2009 aprii il mio account personale su twitter, mentre in Italia, questo che prima di tutto per me rappresenta oggi uno strumento e poi un network era praticamente sconosciuto. Di quei tempi avevo iniziato a giocare a football e richiesi di fare una pagina facebook per la squadra nei primi mesi del 2010; ci tenevo, e così ebbi il via libera da Lucia, presidente dei Draghi Udine che ringrazio anche se non c’è più per l’opportunità datami di giocare e per avermi permesso di scoprire così l’emozione del football.
Non fu l’unica mossa di cui mi occupai li a Udine. Ai Rhinos invece, nei due anni successivi, mi spinsi nel mio piccolo a fare altro e non ero l’unico, in un ambiente in trasformazione, ma in un più complesso status quo rispetto a quello dei Draghi.
Giocatore, dirigenti o appassionati, tutti dovremmo apportare la nostra esperienza in modo volontario alla società, visto che in questa fase che sta attraversando il football c’è evidente bisogno di supporto e con un minimo di responsabilità e conoscenza degli eventi, delle azioni e dei mezzi che si vogliono implementare potremmo con questo atteggiamento sortire dei buoni effetti.
E’ sufficiente andare a leggere la storia negli USA del football americano (in una bella enciclopedia in lingua originale) per scoprire un sacco di importanti esempi, aneddoti, modelli e piccoli casi studio che ci torneranno utili se non subito, domani mattina e che ci farebbero capire non si tratta di un altro mondo, bensì dello stesso.
Allo stesso tempo però questi contributi volontari non possono sortire grandi effetti se non ci si organizza e non si partecipa all’elaborazione di una comune visione societaria e a livello italiano non si pensa come una “Grande Società” del football (e perché no anche d’Europa): l’insieme di tutti noi, una Federazione, una grande famiglia.
In questi ultimi anni alcune cose sono cambiate, e per fortuna! Le squadre sono aumentate di numero, hanno acquisito più che persone, giovani. Se la pelle delle società non è cambiata quella delle squadre ha cominciato a mutare, con una parte dei giocatori d’esperienza che ha iniziato a lasciare spazio ai giovani iniziando ad allenarli (sarebbe ora!).
Sul piano delle società invece, ci troviamo ad oggi con addirittura un piccolo torneo di football (takcle football) femminile e per il football al maschile un ampio campionato di football a 9, la Divisione III, ed un altrettanto grande campionato in A2, la seconda divisione. Il torneo di IFL invece, la serie “massima”, vede 12 squadre che con una visione e il lavoro duro nel tempo hanno migliorato il loro livello di gioco nel giro di 5 anni, arrivando a fare questo in modi diversi o a volte non riuscendoci (la passione non basta).
Il volontariato e l’impegno di diversi appassionati, che si occupano di diversi ruoli societari, è ancora la ragione per cui il football è cresciuto, ma si presentano all’orizzonte importanti sfide a cui non è possibile nemmeno partecipare se non si mettono in campo dei professionisti con dei progetti chiari dinamici di tipo quinquennale … Accanto al volontariato. Attenzione, questo non significa profitto. Un errore comune, troppo comune ed errore molto grave se si pensa a paragonare un migliore livello societario e di prestazioni al denaro impiegato. Allo stesso tempo è vero anche che un buon piano prima di tutto deve avere un budget ben chiaro e sicuro.
Senza voler troppo mettere il dito nella piaga si notano in gran numero le occasioni perse mentre gli errori possono danneggiare questa crescita. Mi riferisco sia ad un piano federale di progetti e investimenti che si occupi delle squadre, dei giovani che verranno, ma in particolare di una strategia di investimenti che del football riguardi il pubblico, se non posso anche riferirmi alle mancanze delle società singole.
A livello societario, per parlare proprio di basi, i roster rappresentano la prima cosa che si va a vedere, qualunque tipo di pubblico voi siate, e questi spesso sono incompleti sono poco chiari e non dico online, ma alle partite non viene prevista la lista dei giocatori della squadra ospite, solo di quella di casa.
Il commento delle partite arriva, e non esagero, da Roma a Milano a toccare il livello del tifo da stadio Ultrà.
I “nostri” terreni di gioco spesso non possiedono dei marker della “gridiron” (la griglia caratteristica del football) che rispettino sia il gioco del football e che aiuterebbero la comprensione da parte dei giocatori, nonché che da parte del pubblico, di ciò che avviene in campo. Questi sono solo alcuni piccoli aspetti societari in cui investire, ma subito.
A livello di logica le mosse più importanti da compiere sarebbero da racchiudere in un ventaglio di operazioni standard da realizzare per tutte le società ecco perché la federazione dovrebbe occuparsene, incentivare, investire lei stessa in questo movimento offrendo inoltre una visione trasparente delle proprie mosse e dei propri piani.
Gli aspetti che in generale ci vengono in mente sono: il terreno da gioco e le strutture d’allenamento (palestre incluse) di proprietà o in condivisione; sito web e social networks attivi o meno con contenuti interattivi e qualità e numero fans; tabellone in campo con cronometro, commento, intrattenimento, cheerleading e qualità di questi; numero e qualità allenatori, numero e qualità giocatori, giovanili, ritiri d’allenamento proposti; interazione con il contesto locale artistico ed economico della società. In una parola il “program”. Arabo? Non credo: è inglese. Impossibile? Non credo nemmeno. Necessario? Questo è poco, ma sicuro.
E’ il momento in cui è necessario iniziamo insieme a pensare in grande e se non ci siamo abituati, di imparare a farlo. Il football ha bisogno di persone che vogliono pensare in grande, che hanno una visione del futuro. Il football ci insegna che ciò che visualizziamo si materializza.
Se insieme non crediamo in questo come potrà farlo il nostro pubblico?

@marcodpaolo – Marco Di Paolo

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